Liquore all’arancia
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15/10/2020I consorzi di bonifica, istituiti dal regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, si configurano come enti di diritto pubblico economico dotati di propria personalità giuridica, proprio patrimonio e personale dipendente appaiono ormai superati e non più efficaci rispetto allo svolgimento delle tante funzioni loro attribuite, nel corso degli anni, da parte delle regioni, spesso indiscriminatamente: si tratta di funzioni di gestione del territorio nel suo complesso, oltre a quelle strategiche, già esistenti, in materia di difesa del suolo, di irrigazione e di uso delle risorse idriche, di vigilanza, di partecipazione alla pianificazione territoriale, di manutenzione e di realizzazione delle opere di bonifica. Ciò, nel tempo, inevitabilmente, ha reso evidenti carenza di tali strumenti consortili in termini di efficacia, ma anche di scarsa efficienza e diseconomicità nell’utilizzo dei contributi di bonifica.
I consorzi di bonifica hanno conosciuto negli ultimi decenni un’evoluzione che li ha gradualmente discostati dal ruolo istituzionale per essi previsto dal regio decreto istitutivo, per diventare centri distributori di appalti per centinaia di miliardi, per lo più inutili e di disastroso impatto ambientale. Essi sono divenuti rubinetti importantissimi di quella spesa pubblica clientelare che ha impedito nel settore dei lavori pubblici l’affermarsi di effettivi meccanismi di concorrenza.
Un altro aspetto critico di rilevante importanza riguarda il pagamento dei contributi consortili.
La disciplina generale della materia dei contributi dovuti ai consorzi di bonifica è dettata dall’articolo 860 del codice civile secondo cui « I proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere in ragione del beneficio che traggono dalla bonifica »
Ad oggi i consorzi di bonifica sono vissuti nella maggior parte dei casi come enti vessatori la cui utilità non è percepita dai proprietari di immobili agricoli ed extra-agricoli ricadenti nel comprensorio di bonifica (cosiddetti consorziati). Il pagamento del contributo di bonifica è richiesto infatti alla stregua di un’ordinaria imposta tributaria, mentre esso deve avere a fondamento opere rientranti nelle mansioni istituzionali dei suddetti consorzi che rechino un beneficio diretto e immediato al proprietario del singolo immobile. La necessità di un vantaggio quale presupposto per la contribuzione è stata affermata da diverse sentenze delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, le quali hanno stabilito che, ai fini della contribuzione, gli immobili devono conseguire un incremento di valore direttamente riconducibile alle opere di bonifica e alla loro manutenzione.
Il decreto-legge n. 248 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31 del 2008, ha provato ad contrastare le evidenti criticità nel funzionamento degli stessi, ma, nel complesso, la situazione non è cambiata. Il sistema dei consorzi di bonifica non sembra, oggi, rispondere alle esigenze di gestione del territorio, e ciò appare evidente anche e soprattutto in occasione di eventi calamitosi, sempre più frequenti, come esondazioni, frane e smottamenti in particolar modo nella nostra regione.
L’attività dei consorzi risulta essere inoltre disarticolata, caotica, mancante di una visione unitaria degli interventi di prevenzione ed è pertanto necessario procedere, con coraggio e fermezza, alla soppressione di organismi che non concorrono più alla realizzazione di quegli obiettivi per i quali erano nati, riportando le relative funzioni in capo ad enti percepiti come maggiormente vicini al territorio ed evi ed evitando al contempo, inutili sovrapposizioni e duplicazioni di competenze.