Quale futuro per i titoli Pac
15/10/2020Scorze di arance candite
23/12/2020D’accordo, sembreremo esagerati, ma siamo certi di essere pienamente compresi da chiunque sia nato e cresciuto in Calabria.
Perché non stiamo parlando delle proprietà benefiche del frutto (lo faremo comunque a breve, con un articolo molto interessante!), né tantomeno dell’andamento dei mercati, della svilente competizione con l’estero, dell’incrocio tra domanda e offerta o del giusto posizionamento di prodotto. Sono tutti argomenti certamente importanti e sui quali, come detto, torneremo.
Dietro tutto questo, o meglio, al centro di tutto questo, c’è quello che commercialmente viene identificato come “prodotto”, appunto. Termine tecnico e per molti versi asettico, da ricondurre ad una sfera meramente economica che, per quanto sia importante, non è tutto. Almeno per noi.
Proviamo allora a fermarci un attimo e, godendo di una stagione stranamente più calda del solito, immaginiamoci seduti “sutta ‘na rangara” (sotto un albero di arancio, per chi non è del posto) a goderci un raggio di sole che penetra timidamente (siamo pur sempre a dicembre) tra mille tonalità di verde ed innumerevoli puntini arancioni. Quasi fosse un albero di Natale.
A pensarci bene, considerando la coincidenza tra i tempi di maturazione del frutto ed il periodo natalizio, possiamo togliere quel “quasi” e dire che si, l’albero di arancio è l’albero di Natale made in Calabria.
Non sarà alto e maestoso come un abete, ma anche lui ha le sue decorazioni, le sue palline, quel fogliame fitto e verde che per di più non punge e non cade come dei banali aghi di pino, croce e delizia dei sostenitori dell’albero “vero”.
Già…un albero di agrume ha qualcosa in più e, per quelli nati e cresciuti in Calabria, rappresenta un mondo fatto di profumi, ricordi, emozioni che ti accompagnano fin dall’infanzia, per non abbandonarti più.
E allora seduti “sutta ‘na rangara” proviamo a chiudere gli occhi e a viaggiare indietro nel tempo.
Sentiremo il profumo della zagara di maggio, o quello dell’acqua di colonia al bergamotto che il nonno si spruzzava prima di andare a lavoro.
Ci ricorderemo della mimica facciale di nostro padre che di un’arancia gustava la dolce soddisfazione di averla prodotta, ma anche l’asprezza dei sacrifici fatti per nutrirla e curarla.
Ci ricorderemo di quando, come piccoli e temerari soldati di trincea, simulavamo attacchi ad una linea “imMaginot” tra i solchi freschi di un nuovo impianto irriguo, intervallati da recinzioni di fortuna fatte con canne e rami secchi che sarebbero poi stati utilizzati come legna da ardere.
Vedremo tavole di legno e mattoncini di risulta presi in prestito dal cantiere dei vicini (si, lo ammettiamo, a loro insaputa!) divenire postazioni d’avanguardia, quando l’unica cosa ed essere veramente all’ avanguardia era la nostra fantasia.
Ancora…ci ritroveremo a rincorrere le albe tra i campi come piccoli Livingstone che prima di andare in esplorazione accendevano un falò improvvisato per gustarsi dell’ottimo latte caldo direttamente sul pentolino rubato dalla dispensa di mamma.
Saliremo su una di quelle casette fatte sugli alberi, così accoglienti e fragili allo stesso tempo da consentire ad una pigna in caduta libera di qualche metro di annullare in pochi secondi teoremi di alta ingegneria ecosostenibile maturati nei pomeriggi assolati (con buon pace di un nonno ingegnere e di una mamma che, tra uno spavento e l’altro, si era ormai rassegnata alla nostra essenza selvaggia).
Qualche anno più in là ci ritroveremo in sella alla vespa di nostra sorella, per esercitarci di nascosto e sfrecciare tra i sentieri ciottolosi evitando buche improvvise e sobbalzando sulle orme dei cingolati.
Ci sentiremo piloti di formula 1 a bordo del nostro pandino rosso, oppure, acquisita maggiore padronanza del mezzo, della Renault25 parlante (“luci di posizione difettose” diceva spesso…) e sfrecceremo tra le chicane dell’agrumeto (anche qui non mancherebbero episodi singolari ma ve li risparmiamo).
Più grandicelli e “responsabili” arriveremo a fare i primi lavoretti utili come il controllo dell’efficienza degli irrigatori a farfalla o l’aiuto nella raccolta.
E da contorno a tutto questo sempre loro, le arance, uno degli agrumi calabresi per eccellenza. Cornice perfetta di un quadro fatto da mille colori, profumi e sapori.
Ci sono state anche quando arrivò il momento di congedarsi per andare a studiare altrove all’università. Lì all’insegna del famoso detto “se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna” furono loro a raggiungerci accuratamente imballate nei mitici pacchi! Era una festa quando arrivavano quei pacchi. Il sacrificio mostruoso di svegliarsi alle 6 di mattina per andarli a ritirare e le successive difficoltà di sciogliere lo spago che li avvolgeva e che veniva annodato sapientemente dal nonno secondo la migliore arte marinaresca, venivano ripagati ampiamente dal loro contenuto. Che includeva, ovviamente anche loro. Con tutto quello che significavano: il Natale che si avvicinava, famiglia, casa! Per non parlare del gusto (quello da sempre il massimo – siamo certi che ci perdonerete questo piccolo peccato di autocelebrazione -).
Insomma, le arance hanno da sempre significato tanto, per noi.
Ecco perché oggi che sono parte essenziale del nostro lavoro, non le riteniamo un semplice prodotto da vendere. Dietro ad un’arancia c’è davvero un mondo. Il nostro, fatto di ricordi, sentimenti ed emozioni che ci hanno sempre accompagnato e continueranno a farlo in futuro.
Ci piace pensare che in fondo il loro stesso sapore, quel mix tra dolce e amaro, sia un po’ l’emblema di tutto, l’essenza della vita stessa. Dolce, amara, piena e succosa. Poesia a parte, nel nostro caso rappresenta davvero la nostra storia, le nostre tradizioni, la nostra identità, la nostra passione.
Senza dimenticare l’ennesimo miracolo:
“Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neanche un giorno in tutta la tua vita” (Confucio)
Azienda Agricola Spanò